Mio padre aveva una bicicletta, nera e grande, e la parte anteriore del telaio era un triangolo, sul cui sedevo sopra senza mettere un seggiolino da bici. Papà era bravo ad andare in bici. Il suo modo di cavalcare la bici era elegante. Tenendo i manubri con le mani, cominciava a spingere la bici un po’ e metteva il piede sinistro sul pedale. Mentre la bici scivolava diritto diritto solleva la gamba destra facendo un semicerchio sull’aria e poi si sedeva sulla sella. Dietro la sella c’era un sedile d’acciaio al cui papà legare le scatole di ginseng quando girava per fare gli affari. Ogni tanto mi sedevo sul sedile, essendo troppo piccola, non riuscivo saltare sul sedile finché papà era pronto. Con il sedile occupato, papà doveva alzare la gamba sfiorendo il triangolo davanti a lui quando decollava. Mi preoccupavo, temevo che il suo piede toccasse il telaio e cadessimo per terra perdendo l’equilibrio o che papà mi dimenticasse e mi desse un calcio disegnando il semicerchio immaginario. Ho la stessa sensazione da grande prima che l’aeroplano decolli.