Il verbo stare è usato spesso al posto del verbo essere, soprattutto in frasi che esprimono il comportamento o lo stato d’animo d’una persona: «Stare attento», «Stare in ansia», «Stare sulle spine», oppure in frasi che contengono un ordine o un’esortazione: «Stia zitto!», «Sta’ seduto», o in frasi fatte: «Se le cose stanno così...» In questi casi l’uso di stare al posto di essere è legittimo e corretto; in altri casi i due verbi non sono intercambiabili: non si può dire o scrivere «Sto nervoso», «Sta assente», «Il lavoro sta fatto bene».
Nel senso di «trovarsi in un dato luogo», riferito a oggetti, c’è tra i due verbi una sfumatura: essere esprime la collocazione con riferimento al momento dell’enunciazione, mentre stare denota la collocazione abituale; si confrontino queste due frasi:
(1) Le forbici sono nel primo cassetto a destra dell’acquaio [indico dove sono ora, non necessariamente di solito].
(2) Le forbici stanno nel cassetto a destra dell’acquaio [indico dove sono normalmente riposte].
Se ci si riferisce a persone, il verbo stare ha generalmente il senso di «soggiornare», «risiedere», o indica la positura, o, ovviamente, le condizioni di salute. Poi ci sono le espressioni idiomatiche, inalterabili.
«Sono contento di essere qui» = «Sono contento di trovarmi qui [in questo preciso momento]»; «Sono contento di stare qui» = «Sono contento di soggiornare qui». Nella prima frase si esprime la collocazione nello spazio e nel tempo; nella seconda, si sottolinea invece la permanenza nel luogo di cui si parla (sicché, invitato a cena a casa di amici, io userei sempre la prima: la seconda potrebbe essere interpretata male da qualche animo permaloso).
rapporti tra i due verbi sono complessi, e non sempre chiari, anche per gli influssi regionali. Ma frasi come «Dove stai?» (nel senso di «Dove ti trovi?») o «Non ci sta nessuno» (per «Nessuno è presente») non sono accettabili nell’italiano sovraregionale.
fonte: accademia della crusca